“Non sto parlando da bersaniano. Sto parlando da italiano.”

Derubricare a capricci, nella migliore delle ipotesi, o a livore ed invidie le critiche e le legittime istanze della minoranza di un Partito, denota scarso spessore politico e culturale di una dirigenza. Denota la mancanza di una vera classe dirigente.

Assolutamente perduta la capacità del confronto onesto e leale, si ondeggia tra delirii di onnipotenza e le offese gratuite.

Sintesi degli ultimi mesi: mancanza di analisi rispetto alla disastrosa esperienza delle scorse amministrative, Referendum fatto passare in buona sostanza come la vittoria di un’accozzaglia ostile al Governo, nessun rispetto verso i sindacati che rivendicavano le richieste dei lavoratori di mondi distanti e diversi, liquidati come antichi baluardi di lotte desuete. E si potrebbe continuare per intere pagine.

Allora, ripartiamo da un fatto: Renzi, prima, e Gentiloni poi stanno governando grazie al tanto vituperato 25% della “ditta” bersaniana. Ma di quel programma non se ne è vista neppure l’ombra.

Ci si è cullati per mesi, anni, sul quel 40% delle elezioni europee, dovuto alla speranza del cambiamento e, per alcuni, in una nuova dirigenza che avrebbe finalmente rottamato i vecchi arnesi del partito.

Peccato che quelle persone abbiano fatto il partito e che, accanto a loro, ci siano giovani di elevata preparazione!

Si obietta: ma come adesso che finalmente governiamo la minoranza interna fa la guerra?

1) essere a capo di un Governo non significa nulla se poi non si mettono in atto i programmi veri e seri del centro-sinistra;

2) non si fa la guerra ma critiche e rilievi costruttivi miranti ad un miglioramento e ad un cambio di rotta.

Ma il Segretario, ex Premier, ha voluto e vuol fare tutto da solo. Personalizza e accentra con gli esiti che abbiamo visto, non soltanto dopo la consultazione referendaria ma anche con le ultime consultazioni amministrative.

Tali elezioni mai veramente analizzate: tanto la colpa è stata di Bersani & C., senza ricordare che tutti gli uomini e donne di questa area si sono spesi in tutta Italia per i candidati PD.

Si vorrebbero ridurre al silenzio; si vorrebbe subissero il tradimento del programma del 2013.

Si pretenderebbe sorvolare sugli errori fatti: dalla scuola alla riforma del lavoro per arrivare al metodo ed al merito di come si voleva stravolgere la Costituzione, con molta demagogia e poca sostanza.

Ed allora la soluzione di oggi è “al voto al voto”… Come e perché? Manca un anno alla scadenza naturale della legislatura, troncarla così a chi potrebbe giovare (domanda retorica)? Senza una nuova legge elettorale, poi, è naturale pensare al dopo, alla governabilità…

Ancora improvvisazione, ancora risatine ed epiteti propri della peggiore tifoseria da stadio.

Dai vecchi arnesi c’è da imparare, pur con gli errori fatti, pur nei limiti di ognuno.

Invece si delegittimano le voci fuori dal coro e dagli slogan del grande “statista”, che, invece, ha dimostrato di non comprendere né come si amministra la res publica né come si dirige un Partito.

Democratico quando ha tutti dalla sua, arrogante quando subisce critiche, rancoroso con l’opposizione interna.

Il nemico, anzi l’avversario (le parole hanno un peso…), non è interno, ma esterno. Se la Sinistra non mette in atto la sua sostanza non esiste e, quindi, perché votare PD? Ed infatti dalle urne si fugge (consiglio il libro del Senatore Fornaro), le sezioni sono vuote e le tessere diminuiscono.

Questi sono i temi. Grandi temi, crinali scivolosi per chi è abituato a parlare del nulla.

E allora come si fa a puntare il dito su chi medita di andar via da questo PD snaturato? Come si fa a non comprendere di dover fare un passo indietro?

Chi è che gioca al massacro?

Un’analisi vera su come si possa aver scontentato insegnanti, lavoratori, precari ed i tanti giovani in cerca di occupazione non si è voluta fare.

Ancora una volta non ha capito. Ancora una volta è colpa degli altri.

E di slogan in slogan, è riuscito a convincere se stesso. Ma in questo vortice di autoreferenzialità ha invece depotenziato il bagaglio intellettuale e politico di un’intera comunità. Molti ne stanno prendendo atto, però pur di rimanere in sella, è probabile che rimanga solo. Solo, sulle rovine del Paese e del Partito. Rovine del quale rimane, insieme ai suoi fedelissimi, l’unico colpevole.

Un leader, per sua stessa natura, esercita il carisma dell’unione non del dividere: non può continuare col ritornello “o con me o contro di me”. Personalizzare un Governo o un Partito è quanto di più pericoloso, ridicolo ed anti democratico si possa fare.

Ed allora si arriva al limite: di pazienza e di sopportazione. Subentra la rabbia, la delusione e la volontà di salvare il salvabile: lo abbiamo letto negli occhi e sentito nella voce rotta di Bersani all’ultima Direzione Nazionale; un intervento pieno di emozioni oltre che di contenuti.

Un intervento da Segretario, da leader e da politico leale.

Prima il Paese, insomma. Tutto qua. E non mi sembra poco.

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