Il peccato originale e il nostro posto nella storia

Il 4 marzo il centro-sinistra è crollato. I segnali che facevano presagire la sconfitta erano chiari da parecchi anni ma nessuno si è soffermato ad ascoltarli, qualcuno per mancanza di lungimiranza altri per arroganza o malafede.

Dalle formazioni a sinistra del PD si è addossata la colpa a Renzi: fatto incontestabile. Due errori politici su tutti: articolo 18 e referendum costituzionale. Inoltre il suo Governo ha posto in essere alcune riforme discutibili. Bene. Ma veramente pensiamo che tutto sia iniziato da lì?

Nel 2013, al netto del papocchio combinato da Napolitano, dai grillini, dai traditori interni il caro Bersani portò a casa il 25% dei voti: lui stesso ammise la non vittoria.

Non voglio però ritornare su tale questione analizzata sia da me che da altri e più importanti opinionisti politici. Vorrei soffermarmi sul fatto che quell’anno il boom lo fece il M5S. A mio modesto avviso si sarebbe dovuti ripartire da un’analisi di tale fatto.

Invece cominciammo la guerra intestina: una minoranza interna inadeguata e i cosiddetti renziani a “gestire” il partito. Al netto delle primarie e della defenestrazione di Letta, due considerazioni: una il peso dell’appoggio a Monti inviso ai più; l’altra l’aver votato in aula le riforme prima di quel Governo e poi di Renzi. Questioni di fiducia e fedeltà alla ditta, si disse. La scissione è arrivata dopo, molto dopo e la gente non ha compreso.

In primis penso che sia più giusto essere leali e non fedeli, comunque, pur ammettendo un senso di responsabilità verso il proprio partito, di errori se ne sono fatti troppi.

Il 4 marzo gli elettori hanno punito tutta la sinistra fuori dal Partito Democratico, la quale invece di avviare un percorso di riflessione, continua ancora oggi a fare opposizione al PD e a pontificare sul suo congresso, invece di vergognarsi (lo debbo scrivere a chiare note) di essere ancora alla fase costituente… LeU, si disse, non era solo un cartello elettorale: eccome se lo era! E pure fatto male.

E prima ancora i balletti del Brancaccio, della Falcone, di Pisapia e poi, ciliegina sulla torta, la scelta di Grasso, uomo inetto come leader. Aggiungiamoci la scelta di imbarcare un po’ tutti e la nave ha fatto acqua. Cominciai a sentire puzza di bruciato. Ne scrissi, ne parlai, girai per l’Italia, ascoltai i territori: guai a muovere una critica pena la gogna. Così, discusso più volte coi miei politici di riferimento, un anno fa, capita la presa per i fondelli, mi allontanai.

Non posso biasimare coloro che sono rimasti nel PD o che ci sono rientrati.

E sentire gioire LeU della perdita di voti del Partito Democratico mi ha fatto ribrezzo: questo è rancore non politica.

Ma torniamo all’analisi che interessa maggiormente: perché si sono imposti i 5stelle? Perché Salvini ha quasi triplicato i voti della Lega? I primi hanno sfruttato il malessere generale, frequentando le piazze e proponendo soluzioni demagogiche. La sinistra e il PD dove erano? Nei salotti, nei caminetti, a pensare ai posti di potere e non nella sede più consona, cioè in mezzo alla gente. Le sezioni quasi deserte, le tessere sempre meno numerose (se non a ridosso dei congressi) e, soprattutto, messaggi lontani dalle idee di sinistra. E la Lega? Quest’ultima ha preso in mano, in modo violento e volgare, quello che le persone desiderano: la sicurezza. Questo tema non è di destra. E’ un tema importante che non si è voluto affrontare, affascinati dal buonismo convenzionale di boldriniana influenza.

Regolare in modo umano le migrazioni, far sentire le famiglie tranquille senza aizzare all’odio razziale ma anzi educando all’accoglienza doveva essere una priorità. Così come dare risposte sullo sviluppo e sull’occupazione, sulla sanità e istruzione pubblica. Ma quale università gratis per tutti! Chi guadagna di più paghi le tasse per i propri figli e per quelli di chi mezzi non ha. Secondo Grasso & C. come si finanzia la ricerca pubblica se nessuno dà il dovuto? L’abbandono scolastico e la scarsità di laureati non si combatte così. E poi, una campagna elettorale incentrata in massima parte sullo ius soli: sono d’accordo nella sostanza, ma la gente non ha interesse per questioni di questo tipo. Giusto parlarne, ma le priorità in un Paese come il nostro sono molte altre. Il buonismo radical chic non può prevalere su i messaggi socialisti, i messaggi di uguaglianza, di giustizia, di diritti e doveri. Bene insegnare l’accettazione, non la tolleranza (brutto termine che sottolinea più il peso degli altri che la solidarietà), bene far comprendere che chi si rifugia in Italia non è per forza un delinquente ma un essere umano in cerca di aiuto; sacrosanto battersi per i diritti dei gay, per la parità di genere, per i diversamente abili, per il testamento biologico, l’eutanasia legale e altro ancora. Però ci deve essere attenzione per molto altro: non si è parlato di innovazione, sviluppo e occupazione, lotta alla delinquenza organizzata; non si è andati a fondo asserendo che la Sanità e la Scuola pubbliche dovrebbero essere accessibili anche a chi non ha mezzi e che i tempi di attesa per fare un esame diagnostico o una visita specialistica siano vergognosi, come pure la mancanza di posti negli asili e, più in generale, di aiuti per genitori che lavorano.

Allora PD o non PD è tutto da rivedere: una rivoluzione culturale che sappia trattare con umanità i temi dell’immigrazione e della sicurezza; che sappia valorizzare le eccellenze; che sappia formare una società meritocratica ma che aiuti i più deboli.

Questa è Sinistra. Una Sinistra che, invece, ha abiurato a se stessa. E non mi si dica (per quanto l’abbia sempre avversato) che la colpa è solo di Renzi. Chi è complice è pur sempre da condannare.

Non si deve pensare a un futuro accordo con i grillini ma a riprendersi un posto nella storia cancellando il peccato originale: quello di aver abbandonato i valori essenziali e di essersi chiusi rispetto a chi attende soluzioni e messaggi forti.

Purifichiamoci in un metaforico battesimo che cancelli il passato per andare avanti e riprendersi il posto che la storia ci assegna. Che la storia ci impone.

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