Un contributo, spero, propositivo al nostro futuro

Adesso che quasi tutto è stato detto, che il livore ed il rancore stanno scemando, almeno formalmente, si può e si deve pensare solo al futuro.
Il nuovo movimento cresce. Cresce e bene. In molte città con più forza, con l’apporto di figure istituzionali; in altre realtà è più difficile per molteplici ragioni.
Molti di quelli che sono usciti dal PD sono tesserati o dirigenti locali ma, naturalmente, non andranno a votare né per le primarie né al Congresso visto che bisogna dichiarare di essere elettori del partito.
Veniamo a noi. Un Movimento già nel suo stesso nome ha la dimensione dell’attivismo, del cambiamento, del rifiuto della staticità e della chiusura e porta il germe dell’inclusione e della partecipazione. Non mi appassiona moltissimo la diversità tra partito e movimento, perché in fondo non è il termine che rende sostanziale il modo di porsi all’esterno ed all’interno di un gruppo. Ritengo che forse in questo momento con la crisi della forma partito, crisi un po’ forzata da un’anti politica di maniera, rinunciare al termine possa essere attrattivo e seducente senza però fermarsi lì.
Il superamento di dinamiche statiche e prestabilite parte da un vero coinvolgimento della base e dei territori. Anzi, è proprio quello il punto di partenza, altrimenti non avrebbe senso cambiare formula per agire come in passato.
Sarebbe opportuno coinvolgere e ribaltare la forma piramidale che il PD, e anche altri partiti, hanno assunto da anni: né un uomo solo al comando ma nemmeno un “cerchio magico” come è in voga chiamare ora quei pochi che in genere prendono decisioni dall’alto.
Di contro, neppure una democrazia di tipo grillino può essere sufficiente, perché alimenta una dirigenza politica improvvisata, deleteria e non rappresentativa dei più.
Proporrei un’attenzione maggiore proprio ai territori in difficoltà, quelli che non hanno esponenti di spicco che possano trainare un cammino o attirare chi si era allontanato dalla politica.
Purtroppo abbiamo assistito a molte dimenticanze in passato e sarebbe opportuno ribaltare le situazioni.
Ripartire significa ascoltare le gente “comune”, i militanti… Ascoltare le loro esigenze e le loro proposte.
Come già altrove esposto, sarebbe ora che i politici si mettessero in platea per sentire e per comprendere il Paese reale.
Applaudire i propri punti di riferimento è sempre un piacere. Ed è un piacere vedersi rappresentati nelle idee e nelle proposte, ma forse la crisi della politica come la vivevamo decenni fa è nata dalla mancata rappresentanza della quotidianità e dal poco porgere l’orecchio alle varie situazioni.
Altrimenti la differenza tra partito statico e movimento dinamico non è che una speculazione filosofica che nulla aggiunge alla prassi.
Oggi le persone vogliono farsi sentire e molti hanno perso la voglia di impegnarsi proprio perché tante richieste sono rimaste inevase.
C’è scoramento e disillusione. Questo è il punto. Questa la nota dolente della fuga dalle urne e dalle sezioni (tutte).
La Politica o è inclusione o non è. O è confronto o non è.
Il sistema Democratico non è perfetto per tanti motivi. Il bilanciamento della rappresentanza deve stare proprio nella creazione di una nuova classe dirigente preparata e con alle spalle l’esperienza di chi già ha ricoperto ruoli importanti. Non è rottamazione ma rinnovamento, integrazione ed interazione.
E’ difficile per molti motivi, ma lasciare altri che in futuro sappiano essere punti di riferimento per le nuove generazioni è un compito fondamentale. Altrimenti c’è il vuoto.
Le idee ed il programma ci sono. Come anche rappresentanti all’altezza e carismatici.
L’unico ingrediente mancante è la valorizzazione di chi può dare a vario titolo un contributo.
Ripenso alla tavola rotonda di re Artù, sicuramente perfettibile, ma valida nel principio.
L’entusiasmo, le eccellenze e la partecipazione non vanno sprecate, ma convogliate in un grande progetto di sintesi.
Movimento o partito? Semplicemente una parte/fazione in cammino dove tutti si possano esprimere e possano contribuire a seconda delle loro esperienze e capacità.
Questo regala dignità alla militanza politica e riporta all’impegno.
La domanda da porsi è: ci assumiamo la responsabilità di innalzare il dibattito ed allargare il coinvolgimento?
Se la risposta è affermativa, sicuramente saremo democratici e progressisti in movimento.
Altrimenti appariremo come qualcosa di già “partito” che non arriverà mai alla meta.

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