Il tempo dell’ascolto

Molti, a parole, affermano di saper ascoltare in qualsiasi campo agiscano nelle loro vite.

Sovente non è così. E’ falso: spesso è soltanto un vezzo ed una facciata, perché in realtà i pensieri, le esigenze, le aspettative altrui restano galleggianti nell’aria senza che l’interlocutore le fa proprie.

Capita quando si va dal medico, che magari neppure ti guarda negli occhi. Capita quando si va, per chi crede, dal sacerdote che ripete frasi generiche senza un minimo di empatia.

Capita con gli amici e conoscenti. Purtroppo anche con i familiari.

Se c’è mai stato un tempo in cui ci si confrontava e si condivideva, beh, oramai accade sempre più di rado.

Siamo una società di individui solitari che credono di incidere nella quotidianità, ma che in realtà subiscono scelte altrui precipitate dall’alto…

Qualsiasi forma di partecipazione è viziata: da interessi di caste, personali o da semplice superficialità.

Una nicchia non fa primavera. Una nicchia di gente che si parla addosso su temi anche fondamentali non cambia la realtà che si respira. E non è un’aria di primavera.

C’è il gelo. E sì, perché a fronte di problematiche serie che vorrebbero soluzioni ferme, certe e veloci, nessuno si prende in carico i fardelli altrui.

Certamente non oso generalizzare. Però quel che vedo non mi piace.

L’ascolto è qualcosa di estremamente serio. L’attenzione al prossimo è un impegno quotidiano.

Gente che vagheggia soluzioni facili. Gente che pensa di risolvere tutto con un twett o con la presenza su facebook.

Non è così. Il tempo della propaganda è finito. Occorrono i fatti.

Ed i politici? Per loro contano i numeri e la quantità, cioè i voti.

Certo, contano, ma il sale della Democrazia non è questo. E’ la partecipazione. E la partecipazione, quella vera, è in difetto.

Partecipare è confrontarsi: tesi, antitesi, sintesi. Partecipare è inclusione nei processi decisionali: dai più piccoli ai più grandi. Partecipare vuol dire poter essere ascoltati.

Da chi? Dove? Non vedo questa attenzione. Sembra che talvolta sia quasi possibile ma, in realtà, è un contentino. Poi nei fatti, spesso, chi ha qualcosa da dire è marginalizzato. Motivo? Perché non si fa parte del giro, perché non hai un pacchetto di voti o di tessere, perché si viene visti con sospetto e forse si ha paura di essere scalzati dalle posizioni dominanti che si occupano.

La soluzione sarebbe facile. Invece di arringare le folle, ascoltare piccoli gruppi. Riunire le varie categorie: si parla di scuola e di ricerca, di sanità e sviluppo dell’imprenditoria… Ma chi porge davvero l’orecchio a chi ha le mani in pasta, a chi se le “sporca” ogni giorno in questi ambiti? Si parla con le grandi aziende mentre il tessuto industriale italiano è formato da piccole e medie imprese; si parla con i professori universitari e con i rettori che magari nelle università non mettono mai piede; si spendono danari per consulenze che non portano a nulla…

Magari è ora che qualcuno si faccia un giro nelle scuole, nelle università e nei centri di ricerca per  rendersi conto che non ci sono fondi neppure per la carta igienica.

Forse sarebbe il caso di visitare a sorpresa qualche ospedale di provincia per comprendere che c’è scarsità di macchinari e di personale e le liste d’attesa si allungano per le visite e nei Pronto Soccorso. Tanto poi chi ha i soldi va nelle strutture private. E, magari, potrebbe risaltare un fenomeno inquietante: molti genitori non comprano alcuni medicinali per i figli perché costano troppo! E tanto ci sarebbe da scrivere ancora.

Per esempio, analizzare il numero di case che vanno all’asta perché non si hanno soldi per pagare il mutuo, causa la perdita di occupazione.

E avere il coraggio di affermare che chi ha di più deve pagare di più per sostenere lo stato sociale.

Utopia… Sicuramente.

Però attenzione perché i voti si ottengono con il consenso e questo è frutto di una vera analisi dei problemi che si tramuti poi in soluzioni. Inutile ogni altra forma di partecipazione.

Le adunate oceaniche con gente pronta a spellarsi le mani non pagheranno più.

Ci vuole inclusione, ci vogliono fatti e non una bella retorica.

O si comprende questo o tutto è inutile.

Ormai i cittadini non vogliono ascoltare ma essere ascoltati: partecipazione dal basso verso l’alto e non viceversa.

Bisognerebbe sporcarsele un po’ le mani invece di star chiusi nei palazzi o andare a fare i bagni di folla.

L’essere umano è unico e speciale: ognuno ha opinioni da esprimere.

E’ finito il tempo della fiducia incondizionata. E’ ora di prendersi il tempo di ascoltare.

D’altra parte la vera Democrazia è questa. E questa è la strada. Buon viaggio a chi vorrà percorrerla.

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