Il fango dell’indifferenza

Alcune tragedie fanno poca notizia. Le immagini che nei giorni scorsi ci sono arrivate da Haiti e dalle zone colpite dall’uragano sono state un pugno nello stomaco. Poi il nulla.

I mass media hanno subito dimenticato e molti di noi con loro.

Terre lontane, esseri umani in condizioni disumane, già massacrati in passato da altri eventi naturali.

Fango e distruzione. Persone in cerca di stracci per coprirsi perché non hanno più nulla. Volti di uomini, donne e bambini disperati.

Disperati e dimenticati.

Paradossalmente, i drammatici eventi  occorsi in zone sviluppate e ricche del mondo commuovono di più. Forse le altre ci appaiono distanti, non tanto geograficamente, ma come percezione: non riusciamo ad immedesimarci noi che siamo abituati ad un’esistenza dignitosa.

Oppure rimuoviamo per non fare i conti col nostro egoismo.

Eppure proprio quelle persone  avrebbero bisogno di solidarietà.

E’ così per le catastrofi naturali e lo stesso copione si ripete per le stragi, per le bombe, per le guerre.

Non fa effetto vedere le immagini di capanne rase al suolo, di interi villaggi ridotti a cumuli di macerie. Non fa effetto fissare gli occhi di bambini da cui traspare una tristezza senza eguali; bambini martoriati e deturpati da ferite del corpo e dell’anima, corrosi dalla fame  ed i visi sconvolti dei loro genitori.

L’Occidente, malgrado le crisi, ancora ricco gira la testa dall’altra parte.

Noi che abbiamo acqua pulita da bere, casa calde e letti comodi; noi che mandiamo a scuola i nostri figli col grembiulino ben stirato…noi cha abbiamo un piatto caldo e ci lamentiamo di tutto.

L’abbondanza cui siamo assuefatti ed il superfluo che in modo compulsivo bramiamo  uccide la misericordia, l’empatia ed il rispetto per chi non ha nulla, nemmeno il necessario.

“Je suis Haiti, Nigeria, Aleppo” quasi nessuno lo scrive quasi che quelle persone siano meno importanti degli europei , ad esempio.

I riflettori si spengono in fretta come in fretta evaporano le nostre lacrime per loro.

Così per i migranti che muoiono ogni giorno in mare.

Sono considerati numeri, non esseri umani come noi, con le loro storie, i loro affetti ed emozioni.

C’è una solidarietà di serie B.

Sarebbe ora di interrogarsi su questo. Sul perché abbiamo deciso che alcune vite contano meno di altre.

Sarebbe ora di vergognarsi e di sentirsi un po’ colpevoli.

Sarebbe ora di considerare tutti allo stesso modo.

Quei volti, quei territori lontani  siano i nostri volti ed i nostri territori. Quelle storie e quei sentimenti siano anche i nostri.

Proviamo ad immedesimarci in quelle situazione, anche se è difficile per chi è abituato ad agi e comodità che ci appaiono ormai scontati.

E’ difficile, è terribile, ma se non tentiamo non possiamo definirci umani.

Bisogna fare i conti con le orribili condizioni della vera miseria: quella materiale, ma anche quella etica di Paesi ricchi che dimenticano i loro fratelli.

Comunque la si pensi, in modo laico, da credenti , da atei lo sforzo è quello di non abituarsi a certe immagini e a non considerarle altro da noi.

Perché è solo una questione di destino se loro sono lì e noi qui. Perché, spesso, la causa della povertà altrui è colpa delle politiche dei più “forti”: sfruttamento, vendita di armi, guerre assurde…E la ricchezza nelle mani di pochi che affamano i più.

E quando la natura è maligna e si accanisce, almeno allora cerchiamo di non dimenticare e di essere di aiuto.

Un uomo scava nel fango per trovare un cencio con cui coprirsi. E noi nel nostro fango nascondiamo la testa per non guardare.

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