La faziosità che non si arrende dinanzi al mistero della morte

Ogni qualvolta muore un personaggio che, nel bene o nel male, ha contribuito a scrivere pagine della nostra storia nazionale ed internazionale, parte la corsa all’esaltazione smodata e, molto più grave,si assiste ad una vera e propria esplosione di gioia per la scomparsa della persona in questione.

Ridicolo che, le opposte fazioni, si accusino, poi, di sciacallaggio, mancanza di misura ed altro.

Un conto è affermare perplessità o criticare in modo garbato il troppo risalto dato a chi non c’è più ed esprimere dubbi sul suo operato motivando  una distanza intellettuale o di pensiero, un conto è scrivere sui social frasi offensive, denigratorie o addirittura di felicità.

Non brindo alla morte: per alcuni mi commuovo e per altri dimostro indifferenza, ma dinanzi al grande Mistero sarebbe bene esercitare una forma di rispetto.

Un rispetto che investe non soltanto il defunto, ma la sua famiglia e la sacralità stessa della vita.

Personalmente quando viene a mancare un personaggio famoso che non stimavo mi limito al silenzio: comunque la pietas umana deve sempre guidarci.

La faziosità, invece, non si arresta neppure in circostanze drammatiche: “un comunista in meno”, “un fascista in meno” e peggio ancora, sarcasmo ed ironia sul cadavere ancora caldo.

Bisognerebbe restare umani: riconoscere meriti e qualità, qualora pensiamo ci siano, oppure perplessità sull’operato e sulla fama immeritata ma sempre con garbo ed equilibrio.

Non dimentichiamo che ognuno ha una famiglia, amici ed affetti.

Certamente la morte di un criminale riconosciuto può giustificare qualche ruvida presa di posizione, seppur vano in un’ottica cristiana che riconosce a Dio il giudizio finale ed altrettanto inutile se analizzata con l’occhio dell’Etica.

Mi sfugge l’obiettivo di offendere post mortem soltanto per diversità di vedute politiche, salvo poi chiedere rispetto se una tragedia tocca qualcuno vicino alle idee di chi ha recitato copioni di odio per l’avversario poco tempo prima.

La storia giudicherà i fatti e le persone.

Laicamente credo che l’umanità sia chiamata a fermarsi ed a meditare sul dopo.  Mi stupisce che spesso i più accaniti non sono gli atei ma proprio i credenti, quelli che predicano misericordia, non rendendosi conto che il rispetto dell’individuo è prima di tutto etico e che la religione poco aggiunge a questa capacità di immedesimarsi nel dolore altrui.

In questi frangenti apprezzo le persone oneste che, con eleganza, esprimono un loro pensiero anche negativo senza accodarsi, magari, alla maggioranza; le persone che non hanno paura di essere politicamente “scorrette”.  Gli altri, quelli dell’odio e della calunnia, sono deprecabili ed inumani.

La morte fa parte della vita: il rispetto dell’una coincide col rispetto per l’altra.

Uccidere un uomo morto è da vili. Infangarlo è da sciocchi.

Libertà di espressione e di pensiero non vuol dire permettersi frasi euforiche in frangenti penosi per chi di quella tragedia è parte.

Abbassiamo la testa dinanzi al mistero della morte, sempre ingiusta e sempre difficile da accettare ed elaborare. Soltanto così facciamo parte fino in fondo della comunità umana, ricordandoci che, “nessun uomo è un’isola” e la campana suona anche per noi.

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