La ricerca e il ruolo degli enti pubblici di ricerca

In questo breve articolo cercherò di comunicare alcuni punti da sviluppare che mostrano la necessità di definire una Politica della Ricerca per il nostro Paese.

Come è ben noto, le cosiddette attività di Ricerca e Sviluppo rappresentano una filiera che, partendo dall’acquisizione di nuove conoscenze, ne sostanzia l’utilizzo nel mondo imprenditoriale che mette in atto progetti di Innovazione di prodotto, di processo e delle organizzazioni.

Questo processo, lasciato in evoluzione libera, potrebbe non perseguire il bene pubblico ed è quindi necessario definire una opportuna Politica della Ricerca che sia coerente con una Politica industriale, una Politica del lavoro, eccetera.

La Ricerca infatti non è neutra e necessita di un indirizzo politico. La Ricerca è segnata dal contesto sociale e penetrata nella storia, ma non è neanche un’opinione e va quindi perseguita con metodo scientifico.La pressione sociale può far in modo che la Ricerca faccia determinate scelte perciò la sua evoluzione è conseguenza diretta della struttura della società e dell’ideologia dominante.

Non si tratta assolutamente di negare la sua libertà, ma di assicurare che il passaggio da Ricerca a Sviluppo e Innovazione nelle imprese sia guidato da una Politica che possa sfruttare le potenzialità tecnologiche minimizzando il rischio di disoccupazione, di riduzione salari e di frammentazione del lavoro.

E’ certamente vero che gli investimenti pubblici in Ricerca e Sviluppo sono inferiori alla media europea: nel 2014 la spesa italiana si è attestata all’1,38% del PIL rispetto a una media europea di poco più del 2%.

E’ però anche vero che la peculiarità del tessuto industriale italiano impone una riflessione più articolata della semplice necessità di aumentare gli investimenti. Nel nostro Paese, infatti, oltre il 99% delle aziende sono classificate come PMI, che contribuiscono per oltre l’80% all’occupazione complessiva.

Mentre per le grandi imprese le attività di Ricerca e Sviluppo possono beneficiare di professionalità e strutture interne, per le PMI tali attività devono prevedere il dialogo con altri attori tra cui quelli della Ricerca pubblica.

Una delle grandi difficoltà è il dialogo tra gli imprenditori e i ricercatori in quanto il linguaggio della scienza e il linguaggio dell’impresa utilizzano codifiche diverse, creando a volte incomprensioni che non permettono al rapporto di instaurarsi in modo vantaggioso.

E’ importante quindi formare delle figure multidisciplinari che comprendano i linguaggi della Ricerca, dell’Impresa e della Politica per facilitare l’implementazione della Politica della Ricerca e della Politica Industriale: un vero e proprio Integratore di Conoscenza a supporto dell’indirizzo politico a livello territoriale che possa coadiuvare le azioni oggi già in atto evitando di trascurare, come accade, il valore enorme e fondamentale della conoscenza tacita che è la vera depositaria del sapere.

Sul fronte delle agevolazioni alle attività di Ricerca e Sviluppo, oggi il sostegno pubblico prevede diversi strumenti agevolativi a livello europeo, nazionale e regionale.

A valle dei progetti agevolati, una PMI per innovare ha la necessità  di ulteriori investimenti che si configurano ad alto rischio. Per colmare questa cosiddetta “valle della morte”, ovvero il momento temporale tra la fine degli investimenti pubblici in R&S e l’assenza di quelli privati dovuta al fatto che i rischi di industrializzazione sono ancora troppo alti, è necessario definire una Politica Industriale che non disperda le energie su troppi ambiti, dando priorità a quelle tematiche che possano attuare il circolo virtuoso investimenti-posti di lavoro.

Innovare solitamente vuol dire fare ricorso a personale qualificato e in molti casi è difficile riqualificare tutto quello esistente; la nuova occupazione non sempre bilancia quella persa ed è comunque necessario che la società si faccia carico di coloro che perdono il lavoro.

In definitiva, i finanziamenti pubblici alle attività di Ricerca e Sviluppo dovrebbero essere canalizzati su settori strategici che possano favorire lo sviluppo sociale prima che economico, disincentivando investimenti che possano creare circoli viziosi su salari – occupazione – diritti.

Anche i finanziamenti alle attività di Ricerca Scientifica, che si pongono a monte delle precedenti, non devono essere destinati “a pioggia” ma privilegiare quei settori ritenuti strategici per il Paese, tra cui anche tutte quelle attività che non sempre riescono a connettersi con le imprese (come accade, ad esempio, per alcuni studi in ambito umanistico).

E’ necessario altresì riorganizzare il mondo degli Enti pubblici di ricerca diminuendo la frammentazione dei diversi gruppi che si trovano ad operare in condizioni non ottimali, con strumentazioni inadeguate o comunque obsolete. Risulta fondamentale investire nell’aggiornamento delle strumentazioni, creando dei poli territoriali che possano aggregare gruppi di ricerca multidisciplinare.

A tal fine si dovrebbe prevedere la creazione di un’Agenzia per la Ricerca che possa indirizzare e coordinare l’uso di tutti i fondi destinati alle attività di R&S a disposizione di Ministeri e Regioni.

Inoltre, tale processo dovrebbe coinvolgere l’intero sistema degli Enti pubblici di Ricerca, oggi vigilati da Ministeri diversi e aventi Statuti e Regolamenti non omogenei per normare attività che hanno invece natura peculiare e affine nei vari campi del sapere. E’ necessario che tutti gli Enti facciano riferimento a una stessa Agenzia per la Ricerca e soprattutto che siano organizzati in modo da valorizzare i ricercatori, eliminando tutti i superflui livelli amministrativi che invece di dare  supporto, la ingabbiano in una serie di pratiche che non permettono ai ricercatori di esprimersi al meglio nel portare avanti le attività che gli competono.

E’ urgente inoltre “ringiovanire” programmando un ricambio generazionale meritocratico che nella creazione della nuova conoscenza risulta di fondamentale importanza. Le forme di precariato negli Enti pubblici di ricerca vanno gestite in modo diverso rispetto a quelle del mondo imprenditoriale. Un giovane che inizia la sua attività diventa produttivo dopo almeno 5 anni al termine dei quali lo Stato non dovrebbe perdere il ritorno dell’investimento fatto per la sua formazione.

BuzziDAttorreGotor

Comments

  1. Sandra Laura Santoro says:

    … soprattutto i “meriti” e far fuori che non li ha. Dopotutto li paghiamo tutti noi i ricercatori!

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