Cronaca di una morte annunciata?

Il mondo politico ha abdicato a dare un indirizzo di idee e contenuti per impegnarsi  in vari tipi di gare. Quali?

La corsa: andare dietro agli elettori affermando quello che loro vorrebbero sentirsi dire. In realtà bisognerebbe comprenderne, sì, le istanze ed i malumori ma per razionalizzare con metodo quanto  raccolto arrivando ad  una sintesi programmatica.

Ruba bandiera: contendersi quella del più duro e puro, ben sapendo che poi il punto focale sta nel raccogliere manciate di voti in più dell’altro.

Il salto in alto: riuscire a porre obiettivi sempre più elevati alzando l’asta, intuendo che nessuno la oltrepasserà mai. Essa cadrà con tutti i propositi che si portava dietro. Addio record.

Ciò che riesce a tutti sono gli ostacoli:in barba alle regole non vengono saltati bensì aggirati.

Si potrebbero menzionare tante altre situazioni: è bene fermarsi qui.

Il punto è che non si può seguire l’ondata demagogica imposta da varie parti politiche negli ultimi anni. Non si può scimmiottare il giovanilismo, il cinguettio, le postate social… insomma la politica virtuale.

Gli elettori o chi a votare non si reca da anni esigono ben altro. Bisogna viverci tra questa gente.

Per cambiare rotta c’è un unico modo: proporre un programma che non sia meramente enunciativo ma esplicativo, presentare un problema e sviscerarlo per proporre soluzioni, almeno in parte.

Invece si continua a dialogare su slogan o su argomenti che andrebbero analizzati non secondo vecchi standard e schemi. Il mondo produttivo è cambiato. La battaglie sul lavoro devono prenderne atto.

E’ inutile denunziare i vizi di un sistema se poi non si combattono le radici di quel sistema.

Ci vuole coraggio. Coraggio nel preferire la qualità alla quantità; coraggio nel saper perdere dignitosamente; coraggio nel riconoscere che non basta avere delle idee comuni ma che le persone delegate a portarle avanti dovrebbero essere davvero credibili. Non bastano i leader, non bastano i proclami, non bastano processi democratici etero diretti. La disaffezione al voto deriva da bisogni disattesi. Anche il diritto alla partecipazione dal basso è stato svuotato di significato. Non c’è confronto; non c’è accoglimento di progettualità condivise. Viene tutto rovesciato dall’alto. Viene lanciato un amo: ma di pesci ne abboccano sempre meno.

Il Paese meriterebbe qualcosa di meglio: basta sciocche diatribe, basta macchine del fango, basta gare a chi è più pulito… Sembra un grande show televisivo: tele imbonitori, presentatori e registi. Un circo dove i politici interpretano i loro ruoli: i domatori di leoni, i funamboli, le ballerine, i clown, i raccoglitori di… va beh, si è capito!

Interminabili ragionamenti su aria fritta mentre c’è chi non arriva a fine mese. Ed anche su questo, quanta retorica… retorica e basta.

L’astensione sale, la partecipazione scende.

Anche perché, in realtà, quando si afferma di coinvolgere, in genere, non viene fatto.

Si usano le persone come cassa di risonanza. Si usano braccia e gambe, non la testa.

E no. Non fa mica comodo a tutti avere elettori o iscritti pensanti.

Magari se ti contorni di gente capace, poi un giorno potrebbe rubarti la poltrona. Il fine è dunque tutto lì?

Il consenso dovrebbe essere un mezzo, il fine l’attuazione del programma.

E molti si chiedono: ma questo programma qual è e come verrà portato avanti? Chi lo ha deciso? Soprattutto: perché vengono interpellati sempre i soliti per proporre un progetto, senza reale condivisione?

E così, partiti, partitini e movimenti diventano il regno di pochi. Sovrani senza popolo che, alla fine, rappresenteranno soltanto se stessi.

foto argine di spalle

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